Criteri più stringenti per le sostanze inquinanti e l’introduzione di un approccio di monitoraggio basato sul rischio: sono queste le due novità principali della Direttiva 2020/2184
Pubblicata il 16 dicembre 2020 ed entrata in vigore il 12 gennaio 2021, la nuova Direttiva europea sulla qualità delle acque destinate al consumo umano – la Direttiva (UE) 2020/2184 – rappresenta un passo avanti significativo nella normazione europea su questo argomento: non solo perché arriva a più di vent’anni dall’ultima direttiva in materia (la 98/83/CEE), ma perché si tratta della prima legislazione europea che viene varata in seguito a un’iniziativa dei cittadini europei (ICE), lo strumento di democrazia partecipativa che permette a un comitato di cittadini, in sette diversi Stati membri, di raccogliere almeno un milione di firme per invitare la Commissione europea a presentare una proposta di legge.
Gli obiettivi della nuova direttiva sono “la protezione della salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano, garantendone la salubrità e la pulizia, nonché il miglioramento dell’accesso alle acque destinate al consumo umano”. Queste finalità si articolano, in particolare, lungo quattro linee di intervento:
- Incentivare il consumo dell’acqua del rubinetto, così da ridurre i rifiuti di plastica. Per questo la Commissione chiede agli Stati membri di garantire la fornitura di acqua, gratuitamente, all’esterno e all’interno degli spazi pubblici, e impegnarsi per migliorare l’accesso all’acqua per i gruppi sociali più vulnerabili, come rifugiati, nomadi, senzatetto. In più, gli Stati possono incoraggiare la messa a disposizione di acqua, gratis o a prezzi modici, in ristoranti e mense.
- Comunicare in maniera più trasparente i dati relativi ai consumi idrici e alla qualità dell’acqua erogata, per migliorare la fiducia dei cittadini.
- Imporre limiti più severi per i contaminanti, aggiornando le soglie previste dalla precedente direttiva e introducendo nuovi parametri.
- Introdurre un approccio alla sicurezza dell’acqua basato sul rischio.
Com’è noto, gli Stati membri hanno due anni di tempo per recepire la direttiva nella propria legislazione. Nel frattempo, però, tutti gli attori della filiera dell’acqua si stanno organizzando per arrivare preparati ai cambiamenti. Vediamo quindi quali sono nel dettaglio le novità più importanti previste dalla direttiva, e come influiranno sul lavoro quotidiano di chi opera sulle reti e sugli impianti idrici.
L’attuale quadro normativo italiano
La principale norma di riferimento è il D.Lgs. 31/01, con cui è stata recepita in Italia la Direttiva 98/83/CEE; il decreto è stato modificato poi con il D.Lgs. 27/02, mentre il Decreto del Ministero della Salute del 14 giugno 2017 ha introdotto il concetto di valutazione del rischio per la sicurezza dell’acqua a monte del contatore, oltre a modifiche sul piano di controllo dei parametri. Per quanto riguarda i materiali a contatto con l’acqua, il riferimento è il D.M. 174/04, attualmente in fase di revisione. Tra le norme tecniche, bisogna ricordare la UNI 8065:2019, che riguarda il trattamento chimico obbligatorio dell’acqua negli impianti di climatizzazione invernale o estiva, e la UNI EN 805:2002, che specifica i requisiti generali per i sistemi di approvvigionamento di acqua all'esterno di edifici, i requisiti generali per i componenti, i requisiti per l'installazione, le prove in sito.
L’iniziativa dei cittadini europei Right2Water
Lanciata nel 2012, Right2Water è l’iniziativa dei cittadini europei (ICE) che ha portato, otto anni dopo, all’approvazione della Direttiva 2020/2184. L’obiettivo della campagna era esortare la Commissione europea a proporre una normativa che sancisse il diritto umano universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari e la loro fornitura in quanto servizi pubblici fondamentali per tutti, facendo in modo che la legislazione europea imponesse ai governi nazionali di garantire e fornire a tutti i cittadini acqua potabile pulita e servizi igienico-sanitari in misura sufficiente.
Right2Water ha raccolto più di 1.600.000 firme e ha spinto la Commissione europea ad elaborare nel 2018 il testo, approvato dal Consiglio ed infine, nel mese di dicembre 2020, dal Parlamento. Dopo il successo dell’iniziativa (che ha raccolto più di 1 milione e 600 mila firme), la Commissione ha avviato una consultazione pubblica e ha effettuato una valutazione sull’adeguatezza e l’efficacia della regolamentazione (REFIT) in merito alla direttiva 98/83/CE, da cui è emerso che alcune disposizioni di quest’ultima dovevano essere aggiornate.
Nuovi parametri per materiali e contaminanti
Oltre all’impulso arrivato dall’iniziativa Right2Water, la direttiva si è resa necessaria per i molti cambiamenti intercorsi tra il 1998 e oggi: i parametri su cui vengono effettuati i controlli sono rimasti invariati nel tempo, mostrandosi talvolta inadeguati nell’affrontare altri punti critici nella rete di distribuzione idrica e senza considerare nuovi composti batteriologici emergenti, la cui presenza deve essere attentamente monitorata anche in considerazione dei cambiamenti climatici, che potrebbero alterare la purezza delle acque profonde (in Italia, per la maggior parte, l’acqua immessa nella rete viene infatti prelevata da acque di pozzo che al momento sono quasi esenti da batteri).
Per questo la 2020/2184 rivede la lista dei parametri di controllo – microbiologici e chimici – introducendo nuove sostanze precedentemente non considerate (come le sostanze PFAS, l’uranio, i clorati e i cloriti) e stabilendo limiti più severi per quelle già contemplate (ad esempio il valore di parametro del piombo viene portato da 10 µg/l a 5 µg/l. Vedi nel dettaglio Tabella 1).
Tabella 1. Nuovi parametri chimici e modifiche a quelli preesistenti (fonte: ARPAT Toscana)
Parametro |
Vecchio valore di parametro |
Nuovo valore di parametro |
Antimonio |
5,0 µg/l |
10 µg/l |
Bisfenolo A |
Parametro non previsto |
2,5 µg/l |
Boro |
1,0 mg/l |
1,5 mg/l |
Clorato |
Parametro non previsto |
0,25 mg/l parametro misurato esclusivamente se si utilizzano i metodi di disinfezione in questione |
Clorito |
Parametro non previsto |
0,25 mg/l parametro misurato esclusivamente se si utilizzano i metodi di disinfezione in questione |
Cromo |
50 µg/l |
25 µg/l |
Rame |
1,0 mg/l |
2,0 mg/l |
Acidi aloacetici (HAAs) |
Parametro non previsto |
60 µg/l parametro misurato esclusivamente se per la disinfezione si utilizzano metodi di disinfezione suscettibili di generare acidi aloacetici |
Piombo |
10 µg/l |
5 µg/l |
Microcistine-LR |
Parametro non previsto |
1,0 µg/l parametro misurato esclusivamente in caso di densità crescente di cellule cianobatteriche o potenziale formazione di efflorescenze |
PFASs – totali |
Parametro non previsto |
0,50 µg/l Gli Stati membri possono decidere di utilizzare uno o entrambi i parametri sui PFAS |
PFASs – somma |
Parametro non previsto |
0,10 µg/l |
Selenio |
10 µg/l |
20 µg/l |
Uranio |
Parametro non previsto |
30 µg/l |
Di particolare interesse è l’introduzione della Legionella tra i parametri considerati rilevanti per la valutazione del rischio nel tratto domestico. All’art. 10, comma 3, lettera e), la direttiva prescrive di “assicurare che siano attuate efficaci misure di controllo e di gestione — proporzionate al rischio — per prevenire e contrastare l’insorgere di eventuali epidemie” mentre, per quanto riguarda il piombo, “attuare misure tese a sostituire le componenti in piombo nei sistemi di distribuzione domestici esistenti”. Entro il 2024, la Commissione integrerà la direttiva adottando una metodologia per misurare le microplastiche, includendole nell’elenco di controllo.
I materiali a contatto con le acque destinate al consumo umano devono rispettare i seguenti requisiti minimi:
- non compromettere direttamente o indirettamente la tutela della salute umana;
- non alterare il colore, l’odore o il sapore dell’acqua;
- non favorire la crescita microbica;
- non causare il rilascio nell’acqua di contaminanti in livelli superiori a quelli necessari allo scopo previsto per il materiale in esame.
Entro il 2025, la Commissione si impegna a compilare degli “elenchi positivi” di sostanze, composizioni o componenti di cui è autorizzato l’uso nella fabbricazione di materiali o prodotti a contatto con l’acqua per uso umano, redatti sulla base degli elenchi con le date di scadenza realizzati dall’ECHA, l’Agenzia europea delle sostanze chimiche. L’elenco positivo di sostanze ammesse al contatto con l’acqua, nell’ordinamento italiano, è contenuto nel D.M. 174/2004, che attualmente è in fase di revisione (a prescindere dall’iter di ricezione della nuova direttiva). Gli stessi requisiti minimi sono richiesti anche per i prodotti chimici per il trattamento e il materiale filtrante (art. 12), con l’importante specifica che non debbano favorire anche “involontariamente” una crescita microbica.
L’approccio basato sul rischio
Novità significativa della nuova direttiva è l’introduzione di un approccio al monitoraggio basato sul rischio, che copra l’intera catena di approvvigionamento, “dal bacino idrografico all’estrazione, al trattamento, allo stoccaggio e alla distribuzione dell’acqua, fino al punto in cui i valori devono essere rispettati”. Il concetto era in realtà già previsto dalla Direttiva 2015/1787 (recepita in Italia dal D.M. 14 giugno 2017), che modificava gli allegati II e III della precedente Direttiva 98/83. L’approccio basato sul rischio si struttura su tre livelli:
- valutazione e gestione del rischio dei bacini idrografici per i punti di estrazione di acque destinate al consumo umano (da effettuare per la prima volta entro il 12 luglio 2027);
- valutazione e gestione del rischio di ciascun sistema di fornitura che includa l’estrazione, il trattamento, lo stoccaggio e la distribuzione delle acque destinate al consumo umano fino al punto di erogazione (da effettuare per la prima volta entro il 12 gennaio 2029, così come la successiva);
- valutazione del rischio dei sistemi di distribuzione domestici, che dovrà essere riesaminata ogni sei anni e, se necessario, aggiornata.
Per rendere effettivo l’approccio basato sul rischio, gli Stati dovranno provvedere affinché vi sia “una ripartizione chiara e appropriata delle responsabilità tra i portatori di interessi”. La valutazione del rischio nell’“ultimo tratto” della rete – ovvero i sistemi di distribuzione domestici – deve comprendere (art. 10):
- un’analisi generale dei rischi potenziali associati ai sistemi di distribuzione domestici, e ai relativi prodotti e materiali, che consenta di determinare se tali rischi potenziali pregiudicano la qualità dell’acqua nel punto in cui fuoriesce dai rubinetti comunemente utilizzati per le acque destinate al consumo umano;
- il controllo dei parametri elencati nell’allegato I, parte D, nei locali in cui sono stati individuati rischi specifici per la qualità dell’acqua e la salute umana durante l’analisi generale.
Per ridurre i rischi connessi alla distribuzione domestica, gli Stati dovranno condurre un’adeguata campagna di informazione diretta ai proprietari di locali pubblici e privati, nonché ai consumatori, e promuovere corsi di formazione per gli idraulici e gli altri professionisti che operano nei settori dei sistemi di distribuzione domestici e dell’installazione di prodotti e materiali da costruzione che entrano in contatto con l’acqua destinata al consumo umano.
Migliorare l’accesso all’acqua e ridurre le perdite
All’art. 4, richiamandosi alla 2000/60/CE, la direttiva prescrive agli Stati una valutazione dei livelli delle perdite di acqua nel loro territorio e dei potenziali miglioramenti. La valutazione deve riguardare almeno fornitori di acqua che forniscono almeno 10 mila m3 di acqua al giorno o che servono almeno 50 mila persone, e i suoi risultati dovranno essere comunicati alla Commissione entro il 12 gennaio 2026. Su questo fronte, l’Italia non vanta un quadro positivo: secondo i dati Osservasalute e Istat del 2015, il rapporto tra acqua erogata e immessa nella rete ha una media nazionale del 62%, con picchi massimi del 78% (Valle d’Aosta) e minimi al Sud e nelle Isole (in Sardegna è del 45%): questo significa un tasso di dispersione che va dal 38% al 55%.
L’Italia è anche il primo Paese europeo per consumo medio di acqua di rubinetto pro-capite (243 litri, contro una media Ue di 120 litri), ma la maggior parte di quest’acqua non viene impiegata per bere: siamo, infatti, anche i primi consumatori di acqua in bottiglia. Proprio per contrastare quest’ultima abitudine e promuovere l’uso di acqua del rubinetto, la direttiva (art. 16) invita a collocare dispositivi di erogazione di acqua pubblica all’estero e all’interno degli spazi pubblici, avviando campagne di informazione e sensibilizzazione, e incoraggiando la messa a disposizione di acqua a titolo gratuito o a prezzi modici all’interno di ristoranti, mense e altri servizi di ristorazione.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul numero 3-2021 della rivista. Clicca qui per abbonarti.